18 novembre 2018

This is Racism? Aporofobia, soprattutto

 
250mila visualizzazioni su Youtube, per non schierarsi da nessuna parte. Ma per raccontare il fallimento di un Paese e una “paura sociale” che fa rima col vecchio capitalismo

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Ecco un’opera finalmente esemplare, nella sua capacità di raccontare le contraddizioni del nostro tempo senza schierarsi né dalla parte dei “buoni”, né dei “cattivi”, ma dando voce a entrambi. Si tratta del video di Francesco Imperato, tratto da un testo di Marco Giacosa, intitolato “This is Racism”, 2018, il quale sta facendo il pieno di visualizzazioni sui social. Con merito, occorre aggiungere, perché vanta il realismo geopolitico di uno Schmitt e la sapienza sacrificale di un Girard.
In sintesi, si tratta di una lenza zoomata sull’unico protagonista, un signorotto della campagna veneta piantato di fronte alla sua dimora e che narra di quando le genti del meridione emigrarono nel Nord-Est in cerca di fortuna. Che spesso trovarono, assieme tuttavia a un’accoglienza non proprio esemplare da parte dei locali, per i quali naturalmente erano i “terùn” della “bassa”. Io stesso da giovane, lavorando come cameriere in un ristorante di Milano, mi imbattei in una “sciura” anzianotta che mi suggerì garbatamente di tornarmene a Roma. Ribattei che avendo fondato noi Mediolanum, erano i milanesi a dover sloggiare, ma non apprezzò la sticomitia. Il nostro “polentùn”, magistralmente interpretato da Andrea Pennacchi, dopo vari insulti da copione nota come fossero le classi povere, a essere emigrate al Nord, e non certo “il nobile di Palermo” o il “giurista di Napoli”. La gente per bene se ne resta a casa sua. Apriti cielo: vuoi vedere che dietro il razzismo si nasconde, in realtà, la paura e il fastidio per la povertà (aporofobia)? Tra un avvocato di colore e un italiano moroso come vicino di pianerottolo, state sicuri che chiunque preferirebbe il primo. E infatti il polentùn nota, a un dipresso, come i terùn fossero per lo più sporchi, maleducati e sfaticati, quando non inclini a delinquere. Chi può dubitare che a volte fosse così? Non tanto perché meridionali e dunque goliardici, amanti della vita e per nulla schiavi del capitale come i nordici, ma appunto perché poveri e dunque non acculturati, né educati, né a volte onesti. Senonché il polentùn trova spazio per le doverose eccezioni, va da sé entro un quadro concettuale di superiorità della “rassa nordica”. 
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This is Racism
Ma è la chiusa del video il vero capolavoro, sia quando sottolinea come l’elettorato meridionale già insultato da Salvini sia lo stesso che oggi lo vota, sia quando rinviene nel “negro” delle cronache contemporanee quel cemento dell’unità nazionale che dai tempi di Cavour si è cercato ovunque senza trovarlo. Che lo spostamento della vis sacrificale all’esterno di una popolazione sia il suo collante più robusto è un topos geopolitico da manuale, eppure tendiamo a dimenticarlo. “Che delusione”, chiosa il polentùn riferendosi ai terùn che votano Lega e trattano oggi i negri come una volta furono trattati loro. Già, ma il nomos della terra funziona così, in barba ai doppi contingenti, sempre uguali e smemorati. Non si può forzarlo più di tanto, pena lo scatenare la belva. Questo video sa ricordarcelo meglio di ogni sermone utopistico, fatalmente ipocrita e velleitario, tanto che la vergogna e la pietà che sembrano infine affacciarsi nelle parole del protagonista sono, con ogni evidenza, fugaci. 
Oggi come allora gli italiani restano equamente distribuiti tra benestanti e poveri e tra xenofobi e ospitali, i quali non potendo fare a meno gli uni degli altri non hanno altra scelta che l’odio reciproco. Dunque sarebbe ipocrita concedere il torto solo a chi difende, certo in modo becero, la propria isola felice, perché altro non tollera che un abbassamento di quello stile di vita che magari si è conquistato con fatica e che l’arrivo dei poveri, di qualunque colore siano, mette a repentaglio, nonostante spesso siano sfruttati. Se nessuno vorrebbe un clochard sul divano di casa, scagliare la prima pietra contro il nostro antipatico polentùn sarebbe un po’ come farlo contro noi stessi, perché tra la casa e la piazza, specie se di provincia o di periferia, non passa questa gran differenza. 
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This is Racism
Morale della favola? Che le sinistre europee stanno pagando lo scotto di aver sottovalutato una “fenomenologia dell’invasione” da parte della povertà forse non apocalittica, ma certamente percepita come intollerabile. Come non tutti i terùn poterono venire al Nord, a maggior ragione non è immaginabile un’immigrazione proveniente dal mondo intero senza rovesci xenofobi-plutocrati. C’è un unico modo di arginare l’ascesa delle destre populiste in Europa, ed è che qualsivoglia schieramento politico chiuda un po’ i rubinetti della propaganda “cosmopolita” (Zivilisation) e apra un filo quelli del “sovranismo” (Kultur). In caso contrario, è pressoché certo che dopo i terùn anche il resto degli europei benestanti si sposterà a destra, l’Europa intera finendo per recitare la parte del nostro polentùn e il negro quella del capro espiatorio. 
Complimenti al regista e allo sceneggiatore per il loro inopinato saggio di geopolitica sub specie di cortometraggio.
Roberto Ago

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