14 dicembre 2018

Contropelo

 
Qualche parola sull’anima. Opere d’arte e persone non vivono separatamente: sono specchi di stati d’animo, figure della vita di una città. di Mariasole Garacci

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Quella mattina la ragazza punk era uscita da casa di un uomo. Era nuvolo e faceva freddo, ma lei perdeva tempo lì in giro per la strada dove lui abitava, perché non riusciva ad allontanarsi: non aveva voglia di andare da una parte e neanche dall’altra, ma solo di stare ferma. Possibilmente anche di sospendere quella costante attività di essere, che a volte è un po’ superflua. Pensava, per spiegarsi la sensazione di irresolutezza e sospensione che provava, alla poesia di Wislawa Szymborska intitolata “Qualche parola sull’anima”:
L’anima la si ha ogni tanto.
Nessuno la ha di continuo
e per sempre.
Giorno dopo giorno,
anno dopo anno
possono passare senza di lei.
“Ecco, può darsi…”
Ma poi i versi successivi fanno:

Gioia e tristezza
non sono per lei due sentimenti diversi.
E’ presente accanto a noi
solo quando essi sono uniti.
Possiamo contare su di lei
quando non siamo sicuri di niente
e curiosi di tutto.
“Ah, ma allora ci sei! E che vuoi dirmi? Perché te ne stai così e non mi fai andare né avanti né indietro, animula mia?”
L’anima non le rispose, come succede spesso: è fatta così, l’anima. Eppure, aspetta chiaramente simili domande. Mentre si spostava da un angolo all’altro della strada senza sapere che fare, un operaio che stava parlando con un collega si interruppe per guardare la ragazza; lei abbassò la testa e lo superò: si vergognava perché quello l’aveva vista bene, mentre lei non aveva ancora ricomposto il suo viso per il mondo.
Percorso qualche metro, da dietro lui le fece: “Carina, ma davvero tanto carina…”. Aveva un tono cordiale, quindi lei si voltò e da sopra una spalla gli rispose: “Grazie”, e lui le augurò una buona giornata.
La ragazza punk ora sentiva un gran mal di pancia, ed entrò nella chiesa di San Francesco a Ripa, per vedere quella beata Ludovica Albertoni scolpita da Gian Lorenzo Bernini nel 1674, che se ne sta lì anche lei con il suo mal di pancia, da secoli, e non le passa mai: magari oggi si era alzata e aveva deciso di andarsene. Invece no, era sempre avvolta nelle sue coperte di marmo e diaspro, nella cappelletta rettangolare che potrebbe essere il vano tra due piloni di un ponte, o di una serranda, dove la disgraziata ha incassato un letto di buste e cartoni, e le testoline dei cherubini in stucco si chinano su di lei.
Uscì e si sedette sui gradini fuori dalla chiesa, e vicino c’era un uomo tutto avvolto, anche lui, nelle coperte. Lei si accese una sigaretta, poi la seconda, poi la terza. Nel frattempo si ripeteva la poesia di Szymborska ad alta voce, ma quando se ne rese conto era troppo tardi, perché il barbone la stava guardando con aria che a lei sembrò cinica, annuendo con la testa.
A volte l’anima ce l’abbiamo di fuori, e non è tanto bene.
Mariasole Garacci 
(Estasi della Beata Ludovica Albertoni, chiesa di San Francesco a Ripa, Roma. Foto di Alberto Bellia)

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