13 dicembre 2018

ILMONDOINFINE alla Galleria Nazionale

 
A Roma si inaugura questa sera la mostra “ILMONDOINFINE”: vivere tra le rovine”

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La mostra odierna, ai nastri di partenza alla Galleria Nazionale, comprende opere di Emanuele Becheri, Chiara Bettazzi, Gigi Cifali, Felice Cimatti, Virginia Colwell, Rosetta S. Elkin, Christoph Keller, Fiamma Montezemolo, MP5, Pietro Ruffo, Gian Maria Tosatti, Massimiliano Turco, Franco Zagari. La cura è di Ilaria Bussoni, Simone Ferrari, Donatello Fumarola, Eva Macali e Serena Soccio. Da un progetto di Ilaria Bussoni che abbiamo intervistato per un’anteprima.
La mostra si intitola “ILMONDOINFINE” vivere tra le rovine”. Qual è il concept di questa mostra?
«È già contenuto nel titolo, nell’ambivalenza che può significare tanto “in fine”, quanto “infine”. Da un lato, parte dalla premessa che siamo circondati da narrative della fine, dell’esaurimento, della crisi, che riguardino il piano ambientale, culturale o sistemico. Dall’altro, però, il mondo specifico di vivere sul pianeta Terra da parte di quella forma di vita chiamata Homo sapiens è stata proprio quello di inventare continuamente propri mondi, storicamente, culturalmente, geograficamente diversi. L’idea di una fine già accompagna l’idea di mondo, per questo il titolo rivendica la possibilità di ricominciare sempre d’accapo. Questa volta, nel ricominciare, questa mostra suggerisce di farlo a partire dalla messa in discussione della centralità dell’umano rispetto agli altri viventi, imparando a guardare all’insieme del vivente con lenti diverse da quelli che ci hanno portato alla fine attuale».
Ci puoi descrivere il percorso espositivo soffermandoti su qualche opera in particolare?
«La mostra parte dall’idea che per immaginare la forma di un mondo occorre pensare la forma della relazione, la quale non è preesistente rispetto agli elementi che la compongono. Per questo l’arte contemporanea sta qui in relazione con altri oggetti, con altre opere di diverso statuto: minerali, manufatti destinati al gioco, immagini storiche… I quali tutti concorrono, al pari ma diversamente dall’arte, alla creazione di una mondanità. E per questo direi che uno degli oggetti centrali è un’immagine del giardiniere Gilles Clément che ritrae il comportamento relazionale di alcune piante quando contengono la crescita delle rispettive chiome per creare lo spazio di una luce comune. Ma tutte le opere si collocano su una soglia che ci fa sempre intuire una diversa relazione possibile con il mondo delle piante, della geologia, del paesaggio, degli animali, della nostra intimità e di ciò che consideriamo spazio domestico o spazio estraneo, viaggio o meta…».
L’arte non è nuova alla denuncia delle crisi che il mondo attraversa dal punto di vista del collasso ambientale, dell’esaurimento delle risorse, della crisi delle forme di vita occidentali e delle sue istituzioni. Quale può essere il contributo dell’arte in tal senso? Solo di denuncia?
«Con questa mostra si prova a varcare una linea ben precisa, oltre la denuncia. Su questi temi è molto facile incorrere in dispositivi narrativi, ormai decisamente abusati, che caricano il visitatore di un senso di colpa e che in un certo senso finiscono con il mettere al riparo l’arte e la posizione dell’artista. La denuncia è un vettore di morale anche quando è animata dalle migliori intenzioni. Non è detto però che l’arte dia il meglio di sé quando le si chiede di fare questo e di certo non è affatto l’unico modo per portare avanti una critica al presente o all’esistente. Qui si è cercato di chiedere all’arte di fare quello che dovrebbe saper fare al meglio: esprimere una poetica che ci aiuti a ribaltare il complemento di tempo “in fine” nell’avverbio “infine”, anche quando ciò accade nel paesaggio di devastazione attuale. Vivere tra le rovine significa imparare a riassemblare l’esistente, dunque è una questione fortemente estetica».
Ad accompagnare la mostra è previsto un programma di eventi collaterali. Ci puoi dare qualche anticipazione?
«Il programma si articola tra incontri, proiezioni, performance, scegliendo di mischiare i generi e gli interlocutori. Dalla botanica si possono ricavare lezioni di etica, imparare a leggere geologicamente un suolo significa chiedersi se il minerale sia così inerte come abitualmente lo pensiamo, l’architettura la si può pensare anche attraverso la danza oppure discutere se i fantasmi siano in nostri migliori alleati contro il capitalismo… Per questo sono stati invitati autori, registi e performer a confrontarsi con etologi, antropologi, geografi… Ci sono cose imperdibili, come il «film organico» di Stan Brackage in 16 mm o il film Homo sapiens di Nikolaus Geyrhalter mai proiettato in Italia. O la danza dedicata al pianeta rosso di Nicola Galli. La lettura arborea dell’Orlando Furioso commentata da Giuseppe Barbera ed eseguita da Paolo Morelli o quella dei testi astronomici di Giacomo Leopardi…». (Cesare Biasini Selvaggi)
INFO
Opening: ore 19
dal 14 dicembre 2018 al 23 gennaio 2019
ILMONDOINFINE: vivere tra le rovine
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
viale delle Belle Arti 131, Roma
t +39 06 3229 8221 
lagallerianazionale.com

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