29 gennaio 2019

Bologna/ MAMbo: identità e posizionamento

 
Intervista al direttore, Lorenzo Balbi, per un primo bilancio e in attesa di nuove “sfide” per il contemporaneo in città

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Inaugura oggi la mostra di Mika Rottemberg, artista di origine argentina alla sua prima personale in un’istituzione italiana. Rottemberg si appropria degli imponenti volumi della Sala delle Ciminiere situata al piano terra, e del foyer del museo, con oggetti scultorei e installazioni video, comprensivi di tre nuovi lavori la cui produzione è stata sostenuta dal MAMbo in collaborazione con il Goldsmiths Centre for Contemporary Art di Londra e Kunsthaus Bregenz. A curare il progetto è il direttore del museo, Lorenzo Balbi, che abbiamo intervistato anche in occasione del “via” della nuova settimana dell’arte bolognese.
Primo anno alla Direzione del MAMbo: un bilancio e uno sguardo ai progetti futuri.
«Il bilancio è sicuramente molto positivo, ma è solo l’inizio. In questo primo anno abbiamo registrato grande interesse e partecipazione nei confronti della nostra programmazione. Ciò che anche il CdA dell’Istituzione Bologna Musei e l’Assessorato alla Cultura del Comune mi hanno chiesto, è di definire l’identità dei vari spazi che coordino e stabilire un loro posizionamento in modo da dare al pubblico l’idea chiara dell’obiettivo perseguito. Quello che mi propongo per i prossimi anni è cercare strenuamente di consolidare questo aspetto».
Un percorso chiaro nei contenuti e negli obiettivi dovrebbe rassicurare anche chi vuole investire e collaborare con voi, giusto?
«Sì, non nego che uno degli obiettivi e degli effetti più importanti di avere uno schema e una visione chiara per ogni spazio è anche quello di potenziare il fundraising e il lavoro di ricerca degli sponsor di aziende che vogliano legare il proprio nome ad un certo tipo di indagine».
Da Torino a Bologna: quali differenze hai riscontrato dal punto di vista lavorativo? Quali i differenti approcci del pubblico al mondo dell’arte contemporanea nelle due città?
«Alla Fondazione Sandretto la parte di produzione di contenuti, la curatela, il rapporto con gli artisti era il mio impegno principale, a Bologna questi aspetti rappresentano solo una parte dei miei diversi doveri. Qui, poi, c’è una abitudine alla frequentazione degli spazi culturali che non sempre è scontato trovare a Torino. Questo si riflette in una programmazione sviluppatissima a tutti i livelli (festival, gallerie, spazi indipendenti); il MAMbo collabora con numerose iniziative divenendo attore di possibile confronto anche su terreni non prettamente legati alle arti visive contemporanee». 
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Mika Rottemberg, vista della mostra, MAMbo
All’interno del MAMbo, sono stati ospitati per un talk alcuni spazi indipendenti di Bologna e alcuni protagonisti di Nesxt: ci possono essere aperture del museo in questa direzione?
«Sicuramente, il nostro obiettivo è questo. Collaboro con Nesxt dalla prima edizione e penso che il lavoro portato avanti dal festival sia molto importante anche e soprattutto perché la scena indipendente in Italia è determinante per le carriere degli artisti, per la formazione dei curatori e per la valorizzazione dell’arte contemporanea nei vari territori. In molte città gli spazi indipendenti sopperiscono alla mancanza di un museo, di un luogo di aggregazione, di un’istituzione culturale. In questo ambito Nesxt porta avanti un lavoro di mappatura che consente di essere sempre aggiornati su quella che è l’offerta del momento. Anche come direttore artistico del MAMbo sono interessato a promuovere queste realtà caratterizzate da nature e vocazioni differenti».
E le gallerie?
«Sono uno strenuo sostenitore del ruolo delle gallerie all’interno del sistema dell’arte.
A Bologna la loro proposta è ampia e varia. Ciò che crediamo sia utile, ed è quello che stiamo cercando di fare anche con la Manifattura delle Arti, è un coordinamento tra i vari spazi espositivi con la creazione di percorsi condivisi, come in occasione di ART CITY Bologna».
Spostiamo il focus: con Simone Menegoi Arte Fiera 2019 vira verso un formato più curatoriale; qual è il tuo punto di vista su questo cambio di rotta?
«Questa è una edizione di passaggio in cui verrà impostato il lavoro che si affermerà nelle prossime edizioni. L’impronta molto interessante va verso una maggiore cura, sia nella selezione delle gallerie che nella proposta di quest’ultime, con l’apposizione di soglie relative al numero di artisti che si possono presentare. L’impostazione delle fiere di arte contemporanea (nazionali e internazionali) si dirige sempre più verso uno stampo curatoriale: i collezionisti e i visitatori vogliono stand che abbiano una loro narrazione. Non si può più prescindere da questo aspetto, ma – certamente – rimangono i paradigmi di Arte Fiera, ovvero un’attenzione particolare all’arte italiana sia del moderno che del contemporaneo, per il cui mercato vogliamo che torni ad essere un riferimento».
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Mika Rottemberg, vista della mostra, MAMbo
A tal proposito: in che modo questo nuovo taglio curatoriale aiuterà il mercato?
«Bisogna trovare il giusto posizionamento della fiera: questo è il primo obiettivo. Credo che il lavoro che sta facendo Simone in questa direzione aiuterà anche il mercato. Ad Arte Fiera viene chi cerca la galleria importante di moderno che tratta al massimo livello l’arte italiana post war, chi vuole scoprire le proposte delle gallerie giovani che trattano l’artista italiano esordiente, e che ti possono sorprendere con un booth monografico».
Per quanto riguarda ART CITY Bologna, invece, l’anno scorso c’è stato un taglio drastico dei progetti: le iniziative sono state ridotte a dieci e non c’è stata una call. Com’è stata accolta questa decisione sia dal pubblico che dagli operatori del settore? Cosa ci aspetterà quest’anno?
«Il programma è stato recepito bene dal pubblico: gli eventi di ART CITY Bologna 2018 hanno registrato oltre 100mila ingressi in tre giorni. La selezione è un bene, questa manovra di raffinazione del progetto è piaciuta molto, è stata più facile da comunicare e da percepire da parte del pubblico, perché meno caotica. Quest’anno abbiamo lavorato anche al programma Off – denominato ‘ART CITY Segnala’ – eliminando le iniziative commerciali e quelle che non trattano il contemporaneo in senso stretto. Su mandato di BolognaFiere e dell’Assessorato alla Cultura, con l’impegno di tutte le istituzioni coinvolte, stiamo cercando di realizzare un grande festival di arte contemporanea, una vera ‘settimana dell’arte’».
C’è un tema, un filo conduttore?
«Sono tutti progetti monografici che si inscrivono in un’idea di dialogo con il luogo che li ospita, diventandone parte integrante».
In che modo la mostra di Mika Rottenberg si inserisce nel programma di ART CITY Bologna?
«Quello di Mika Rottenberg sarà uno degli eventi principali della settimana dell’arte. Siamo contenti che questa artista abbia scelto Bologna e il MAMbo per la sua prima personale in Italia. Nella Sala delle Ciminiere saranno collocate 10 grandi installazioni secondo un progetto architettonico costituito da un’alternanza di vuoti e di pieni, come nel suo stile. Il pubblico sarà invogliato a percepire e a scoprire il progetto architettonico come parte integrante della mostra, tra strettoie e aperture. Sono anni che seguo il suo lavoro e penso che sia un’artista molto interessante da proporre sia per le tematiche che affronta (ovvero la critica alla società contemporanea capitalistica e al ruolo della donna al suo interno) che per i media utilizzati (videoarte, installazione, performance)».
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That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine veduta dell’allestimento presso MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna photo E&B Photo

Verso quali orizzonti si sta dirigendo l’arte contemporanea in Italia e all’estero?
«Penso che l’arte più interessante del momento sia quella che da un lato va incontro ad una possibile definizione del ruolo dell’artista e che dall’altro indaga il modo in cui i nuovi linguaggi si inscrivono in un mondo in cui l’accesso alle immagini si sviluppa in un modo sempre più veloce e radicale».
Riportiamo la conversazione al MAMbo: con That’s IT si è inaugurata l’idea di “Museo Officina”, in prospettiva quali iniziative metterete in atto per consolidare questo aspetto?
Potendo lavorare con artisti vivi e contemporanei mi interessa molto l’aspetto della produzione: sfidare l’artista a realizzare lavori nuovi. Mi piace coltivare l’idea di un Museo che “fa le cose” e che non si limita ad esporle. Mettere in mostra un artista vuole dire offrirgli la possibilità di progredire nella propria ricerca. Questo è il primo aspetto, il secondo è che a Bologna manca un polo dove realizzare degli studi a cui gli artisti possano accedere su bando per periodi più o meno lunghi; una comunità dove produrre e a cui il pubblico abbia periodicamente la possibilità di accedere».
Tornando a parlare dei progetti futuri: pensi di introdurre a Bologna un corso per curatori sullo stampo di quello torinese?
«In Italia c’è un po’ un vuoto per quanto riguarda la formazione dei curatori dal punto di vista dell’offerta pubblica. A Bologna, grazie al dialogo costante instaurato con l’Accademia e il DAMS, sto lavorando – come obiettivo a lungo termine – a un percorso istituzionale, un master di II livello, realizzato in collaborazione con l’Università». 
Ti lascio con una provocazione: cosa ne pensi di realizzare nella Project Room un progetto sull’underground e sui graffiti?
«Questo è un tema scottante a Bologna. Come MAMbo siamo interessati all’argomento, ma rimane il fatto che portare street art dentro un museo è un’operazione molto complicata che bisogna ponderare bene. Non c’è quindi una preclusione, ma è necessario farlo con cognizione di causa e individuando la modalità giusta».
Maria Chiara Wang
Intervista pubblicata su Exibart.Onpaper 103. Te la sei persa? Abbonati! O vieni a ritirare la tua copia gratuita ad Arte Fiera

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