08 marzo 2019

L’isola che non c’è

 
Giorgio Andreotta Calò con "Cittadimilano" è a Pirelli HangarBicocca. Una mostra surreale per scoprire territori, pensando che sarebbe piaciuta a Italo Calvino

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Nella kunsthalle milanese Pirelli HangarBicocca, il maestro dell’Arte povera Mario Merz (1925-2003) dialoga concettuamente con l’erede Giorgio Andreotta Calò (Venezia 1979) attraverso la mostra personale intitolata “CittàdiMilano”, a cura di Roberta Tenconi, ospitata nello spazio Shed dell’ex architettura industriale. 
Apre il percorso espositivo circolare – in cui andata e ritorno si compenetrano – un corpus selezionato di opere dal 2008 a oggi, tra cui il video Senza Titolo (Jona, 2019) che conduce lo spettatore a novanta metri di profondità, dove il piroscafo “Città di Milano”, costruito per conto di Pirelli (la prima imbarcazione in Italia a effettuare la posa e il montaggio dei cavi sottomarini che collegavano le isole minori) si trova incagliato al largo di Filicudi. Così l’artista, fluttuante tra fiction e realtà, documenta un percorso espositivo sospeso tra discesa e risalita di un viaggio mentale, puntando sulla variazione di luce del colore dell’acqua, il recupero del relitto spettrale e i resti del naufragio avvento nel 1919, durante la posatura dei fili telegrafici tra le isole Eolie. 
Questa proiezione è il preludio onirico di un’immersione nell’abisso misterioso, oltre il tempo e lo spazio, in cui appaiono sembianze antropomorfe, sommozzatori inquietanti che discendono profondità insondabili. 
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Giorgio Andreotta Calò Scolpire il Tempo, 2010 (detail) Installation view at Pirelli HangarBicocca, Milan, 2019. Courtesy of the artist; Nomas Foundation and Pirelli HangarBicocca. Photo: Agostino Osio

Ricordiamo che dal 1879 Pirelli comprendeva la Società Pirelli Cavi, all’epoca all’avanguardia nell’ambito dello sviluppo delle reti sottomarine, e a distanza di un secolo dal naufragio, la nave fantasma è tornata idealmente a casa. Si “riemerge” da questa apnea visiva attraverso dei reperti reali e fittizi, tra gli atri cavi sottomarini, carotaggi del sottosuolo della Laguna di Venezia e del Sulcis Iglesiente (Sardegna sud occidentale), meduse in legno ricavate dai pali delle fondamenta corrose dall’acqua salmastra, pietre, metalli, finti fossili in bronzo, adagiati sul pavimento dello Shed con cura, per ridisegnare e movimentare il perimetro dell’edificio. A terra spicca la serie di opere intitolata Carotaggi, costituita da campioni geologici. La disposizione degli elementi lunghi circa 130 centimetri ciascuno permette al visitatore di percorrere lo spazio espositivo e idealmente di discendere attraverso gli stati del sottosuolo. 
Con Produttivo (2019), installazione concepita per questa mostra, Calò sviluppa il lavoro di ricerca già intrapreso nel territorio del Sulcis. Il titolo dell’opera indica in ambito minerario lo strato di carbone posto tra 350 e i 450 metri di profondità e utilizzato come fonte energetica. Sembrano fossili di una civiltà morente o postatomica le sue Clessidre, realizzate dal 1999, quando nasce la sovrapposizione simmetrica di due elementi in legno: le briccole (bricole in veneziano), i pali conficcati nel fondale della laguna veneta per delimitare le vie di navigazione e ormeggiare le imbarcazioni che subiscono la corrosione del tempo a causa delle maree, dell’innalzamento e abbassamento dell’acqua. Il tempo fluido è il tema anche delle opere esposte in mostra che costituiscono il trittico Scolpire il tempo (2010), in cui il titolo evoca Tarkovskij. 
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Giorgio Andreotta Calò, Volver, 2008 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2019. Courtesy dell’artista; ZERO…, Milano, e Pirelli HangarBicocca. Foto: Agostino Osio

Incanta le serie di Meduse, che ha origine dall’utilizzo di elementi del paesaggio lagunare, in cui i pali di legno sono utilizzati come elementi scultorei. Poetica la serie Pinnae Nobilis, finti fossili perfettamente integrati con l’architettura, alcune posizionate in prossimità dei pilastri dello Shed, altre disposte a terra. Questa serie Calò inizia a produrla dal 2014, e si tratta di opere in bronzo che prendono il nome latino e le sembianze del mollusco di grandi dimensioni presente nelle acque del Mediterraneo da cui si ricava il bisso marino, materiale filamentoso in passato utilizzato per tessere preziosi ricami. 
L’artista, che nel suo lavoro rivisita i maestri dell’avanguardia come Gordon Matta Clark, Walter De Maria e Bas Jan Ader e l’Arte povera, è noto per la sua partecipazione nella 57ma edizione della Biennale di Venezia, 2017, dove aveva presentato Senza Titolo (La fine del mondo): un intervento su larga scala all’Arsenale, costituito da ponteggi attraverso il quali i visitatori accedevano a un livello superiore da cui osservare un grande volume d’acqua. La mostra a Bicocca include Volver, una barca utilizzata dall’artista per percorre la laguna di Venezia, trasformata in scultura nel 2008, in occasione della sua prima mostra personale alla Galleria Zero…, di cui consigliamo la visione del video-documentario della performance, quando la barca fu esposta sul tetto della galleria nel cuore di Lambrate. 
E tra discese e risalite negli abissi, voli surreali, la mostra termina con Città di Milano (2019); a 90 metri di altezza, l’autore ha costruito una camera oscura e riproduce Milano est, area Lambrate, con una foto stenopeica dal belvedere del Pirellone di Proprietà della Regione Lombardia. 
Sorprende l’insolita veduta urbana di edifici orizzontali galleggiante su una macchia nera. E in questa immagine tenebrosa, apocalittica, collocata specularmente rispetto alla proiezione del video iniziale del relitto del piroscafo, come una quinta teatrale, ai confini della realtà impressa su carta ai sali d’argento, lunga 11 metri e alta 5, spiazza l’orizzonte capovolto, mare e cielo insieme, un’onda oscura che invade lo spazio. Calò trasfigura Pirelli HangarBicocca, dopo averci idealmente condotto a Venezia, Ischia, Sardegna e Filicudi, attraverso i materiali utilizzati nelle sue opere.
In questa architettura-monumento potrebbe emergere l’isola che non c’è, dove Italo Calvino si sentirebbe a casa. 
Jacqueline Ceresoli

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