23 marzo 2019

Mercato, sì o no? Il podio delle gallerie più presenti alla prossima Biennale di Venezia

 

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La Biennale di Venezia non è una fiera: nessuna delle opere esposte è lì per essere venduta. È questa una corrente di pensiero nata nel ‘68, quando gli studenti dell’Accademia di Belle Arti – tra i quali erano presenti anche diversi artisti – manifestando nei Giardini, rivendicarono la natura artistica della Biennale, in quell’anno la 34ma, che non avrebbe dovuto avere la forma di un’asta ma essere solo un meraviglioso spettacolo. Il suo ufficio vendite dunque, qualche anno dopo, chiuse ufficialmente i battenti.
Sotto la più importante esibizione di arte contemporanea, però, il mercato continua a muoversi. Molte grandi e importanti gallerie intervengono da sempre nel “dietro le quinte”, occupandosi della spedizione e dell’istallazione delle opere, oltre che fornendo vari finanziamenti. Per esempio, nel 2017 la presenza degli interventi di Phyllida Barlow al Padiglione britannico è stata possibile grazie al contributo di Hauser & Wirth. Inoltre, soprattutto durante la settimana che inaugura la Biennale – la “settimana dei VIP” – fra i visitatori è possibile individuare moltissimi collezionisti. A nessuno di loro interessa nascondersi: chiunque si muova nel campo dell’arte è ben consapevole che in Laguna saranno presentate le opere protagoniste del mercato, almeno per i due anni successivi all’esposizione. “Guardare ma non toccare” ma guardare bene e, poi, stare attenti a fare la propria offerta più tempestivamente possibile.
Se il collezionista belga Alain Servais ha definito Venezia come la migliore fiera d’arte al mondo, in un’intervista per Artspace, nel 2017 Mark Coetzee – in quegli anni direttore del Zeitz Mueseum of Contemporary Art Africa-Zeitz MOCAA di Cape Town – ha confessato al Financial Times che le biennali sono tanto commerciali quanto lo sono le fiere. Non a caso, la maggior parte delle sue acquisizioni proviene proprio da quelle, che presentano una più vasta gamma di opere e tutte di maggiore rilevanza critica, rispetto a quelle che è possibile trovare in fiera: «Gli artisti danno il meglio di loro per le Biennali», concluse all’epoca.
Ma quali gallerie saranno protagoniste di questa 58ma edizione, che aprirà al pubblico l’11 maggio? Quello che salta subito all’occhio è l’assenza di alcuni grandi nomi abituali: fra gli 83 artisti della mostra principale e gli oltre 200 dei vari padiglioni, nessuno sarà di Gagosian, e sia Pace Gallery che Hauster & Wirth ne avranno solo uno a testa. Questo potrebbe farci pensare a un cambiamento di sistema, che vede l’ascesa di nuove e più piccole gallerie ma, più probabilmente, non si tratta che della logica conseguenza della scelta di Ralph Rugoff, direttore della Biennale 2019, di privilegiare artisti che di solito non frequentano le mega gallerie.
Al primo posto troviamo la White Cube di Jay Jopling, due sedi a Londra e una a Hong Kong, più un ufficio a New York, con sette artisti: Julie Mehretu, Danh Vō, Christian Marclay, Michael Armitage e Liu Wei in Arsenale, Lui Xiangyu al Padiglione della Cina e Ibrahim Mahama tra i sei rappresentanti del Ghana, Paese per la prima volta a Venezia. Dopo la White Cube, si posiziona Kurimanzutto, di Città del Messico, con cinque artisti in Arsenale, Tarek Atoui, Nairy Baghramian, Jimmie Durham, Apichatpong Weerasethakul e Vō, e Leonor Antunes, per il Portogallo. Si aggiudicano a pari merito la medaglia di bronzo, con un numero di cinque artisti, la Sprüth Magers – galleria di Colonia con spazi a Berlino, Londra e Los Angeles – la Gavin Brown e la Marian Goodman. Fuori dal podio la Andrew Kreps di New York, che porterà in mostra quattro artisti, la newyorkese 303 Gallery e la belga Xavier Hufkens, che ne presenteranno tre. (Lucrezia Cirri)
In alto: Proteste studentesche, XXXIV Esposizione Biennale Internazionale d’Arte Photo Ugo Mulas © Ugo Mulas Heirs

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