06 maggio 2019

Contropelo

 
Notre Dame de Paris: una lezione per ripensare il nostro rapporto con il patrimonio culturale
di Dario Covucci

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In poche ore centinaia di anni di storia e di arte sono andati letteralmente in fumo. È più che comprensibile che la notizia dell’incendio divampato nella Cattedrale di Notre Dame di Parigi – simbolo identitario per il popolo francese – abbia destato pubblico sgomento e profonda partecipazione emotiva a livello mondiale. Ormai domate le fiamme, già si è pronti a ripartire e a ricostruire. Ma questa incresciosa vicenda, alquanto unica nel suo genere, dovrebbe invitare le nostre coscienze a una riflessione critica sul modo in cui siamo soliti percepire il “valore” del nostro patrimonio artistico e culturale.
Consideriamo alcuni dati: (A) era noto da tempo che l’immensa Cattedrale versasse in condizioni di degrado e che fossero necessari interventi di manutenzione; (B) la chiesa appartiene allo Stato francese; (C) i contributi pubblici sono stati del tutto insufficienti. La situazione descritta non è affatto dissimile a quella di molti tesori d’arte affidati allo Stato italiano, che pure meriterebbero di essere tutelati e valorizzati, ma non lo sono. 
Quando è ormai troppo tardi, i rimedi che l’ordinamento giuridico mette a disposizione appaiono, purtroppo, inadeguati: né il risarcimento dei danni né indennizzi assicurativi potranno mai reintegrare il valore storico e artistico originario; i procedimenti civili o penali potranno ricostruire le cause dell’incidente (o meglio, del “disastro”), ma non restituiranno alla collettività la “ricchezza” che è andata dispersa. 
È evidente che la soluzione da perseguire deve essere rivolta, soprattutto, alla prevenzione: e a tal fine solo efficaci strategie di conservazione e protezione dei beni culturali possono rivelarsi decisive.
Questa via impone, innanzitutto, di (ri)pensare monumenti, edifici, opere d’arte – e in breve quel museo a cielo aperto che è la nostra Italia – come un patrimonio comune di cui siamo chiamati a prenderci cura, contribuendo personalmente e a ogni livello. Una maggiore sensibilità verso l’arte e il suo mondo non può però diffondersi senza percorsi di formazione e di educazione: finché, ad esempio, sarà diffusa l’idea che la fruizione dei beni culturali debba essere sempre e comunque ‘gratuita’, sarà difficile immaginare una partecipazione spontanea ai costi, spesso ingenti, per tutelarne l’inestimabile valore.
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Notre Dame dopo l’incendio
Si apprende, poi, dalla stampa che sono già pronti i lavori di ricostruzione di Nostra Signora: e in soli due giorni munifici imprenditori e semplici cittadini hanno raccolto finanziamenti per circa un miliardo di euro. Ma – viene da chiedersi – perché soltanto ora? 
Perché questo è il vero punto della questione: il ruolo determinante che i privati possono svolgere a sostegno dell’azione pubblica in campo culturale. In Italia, nell’ultimo decennio la crescita degli investimenti nel mondo dell’arte è stata significativa e ha consentito politiche di sviluppo culturale con una sinergia tra enti pubblici e soggetti privati. Basti citare, tra i casi più rinomati, i lavori di restauro del Colosseo e della Fontana di Trevi, o le attività di recupero e valorizzazione del sito archeologico di Ercolano; ma numerose sono state anche le attività di messa in sicurezza, valorizzazione, formazione e accesso del pubblico alla fruizione di beni, marketing e consulenza strategica, finanziate da, se non realizzate a cura di, attori privati di ogni tipo (non solo imprese), in favore di opere più o meno famose e su tutto il territorio nazionale.
Mecenatismo culturale, partenariato pubblico-privato, sponsorizzazioni pure e tecniche: sono tutte modalità che possono attuare quel principio di sussidiarietà orizzontale tanto caro alla nostra Costituzione; ma devono essere sia de-burocratizzate (si pensi alle procedure semplificate per l’acquisizione di sponsor), sia incentivate con uno speciale trattamento fiscale (come il c.d. art bonus). Poco importa se gli stakeholders non siano sempre motivati da pura filantropia; anche una utilità economica, diretta o indiretta, va salutata con favore, se può servire per salvaguardare la nostra immensa ricchezza culturale ed evitare il peggio.
Dario Covucci
LCA Studio Legale / Gruppo Arte

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