27 maggio 2019

DANZA

 
Correnti d’aria scolpiscono i corpi, in “Alaska/Chopin” e “Van Beethoven” di Silvia Bertoncelli
di Giuseppe Distefano

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C’è una gioia intrinseca, del corpo e della mente, una leggerezza degli arti, che si sprigiona già in apertura in quel saltellare continuo di una danzatrice da un punto all’altro dello spazio vuoto. Gaiezza che si moltiplicherà, contagiosa, negli altri interpreti. Prima nell’uomo entrato circospetto, fermo ad osservare la donna; poi entrambi, scrutandosi, sfiorandosi, avvicinandosi sempre di più fino ad un duetto di amorosi sensi. È all’insegna della leggerezza quindi, del piacere di danzare, la nuova creazione di Silvia Bertoncelli Van Beethoven (produzione Compagnia Naturalis Labor, coproduzione “Festival Lasciateci sognare” e “Festival Danza in Rete 2019-Vicenza/Schio”) che qui abbandona quella ricerca drammaturgica alla quale ha sempre lavorato nelle sue opere. A creare lo spazio è il movimento dell’avvicendarsi dei danzatori che sembrano provare a librarsi lasciandosi trasportare da brezze, sospinti da venti impalpabili, da un flusso continuo di gesti ampi generati dal piacere di farsi attraversare da correnti d’aria che scolpiscono i corpi, li plasmano e li sciolgono, complice le note pianistiche della Tempesta beethoveniana. In questo comporsi e scomporsi dei quattro bravi interpreti (Federica Bedin, Sara Cavalieri, Jessica D’Angelo, Mirko Paparusso) in assoli, in coppie o in gruppo, segnato da attimi di silenzio e di stasi per riprendere il respiro della corsa, mutano i colori dell’azzurro fino a un blu intenso e le fogge dei costumi, varia la temperatura emotiva dei gesti, e quel mulinare velocissimo di braccia, con il corpo obliquo reclinato l’uno sulla spalla dell’altra, che, come eliche, sembra produrre ulteriori correnti. C’è una piuma, a tratti, sulla quale si soffia anche con uno sventolio di mani per non farla cadere; poi due, tenute in bocca e vibrate con le labbra, mentre si formano terzetti e quartetti in più direzioni, fino ad una danza all’unisono. Una coreografia giocosa, solare, (ben si presta, per modulabilità e bellezza compositiva, a molti più danzatori in scena) che, pur rifuggendo da qualsiasi descrittivismo della musica, incontra inevitabilmente momenti di felice sintonia. 
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Silvia Bertoncelli, Alaska/Chopin, foto di Marco Caselli Nirmal
Ad atmosfere più fredde, come si deduce dal titolo, rimanda Alaska/Chopin, altro debutto assoluto nella stessa serata, al Teatro Comunale di Vicenza. Concepita per tre interpreti la coreografia di Silvia Bertoncelli (da annotare la sua prima volta a non stare in scena) attraversa la sensibilità femminile trascolorando dall’intimità alla complicità, dal dentro al fuori di sè, dall’asprezza alla dolcezza. Sul silenzio prima e sulla musica dopo, la qualità dei movimenti si esprime in equilibri su una gamba, in lente oscillazioni e allungamenti delle braccia e delle gambe, in torsioni, rotazioni e improvvise cadute all’indietro. Quindi in strette dense, in raggruppamenti con le teste e con le braccia, e, sullo slancio delle note pianistiche, a gesti sempre più veloci di corse, rincorse e salti. Sono corpi materici che vibrano di pulsioni, una continua dilatazione fra impressioni di ghiaccio e di composizione romantica che esprime fragilità e potenza allo stesso tempo. Come nella musica di Chopin. 
Giuseppe Distefano

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