11 giugno 2019

Ricostruire futuro

 
La nuova vita della Manifattura Tabacchi di Firenze comincia dalla moda. Con una mostra forte e impalpabile, lanciata durante questi giorni di Pitti Immagine

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Il riuso, che passione. 
Sembra che non esista città, oggi, che da un capo all’altro d’Italia e non solo, non abbia voglia di investire nella riqualificazione di vecchie strutture industriali per costruirne una nuova vita dedicata alle arti. 
Dalla milanese Fondazione Pirelli che diede vita, antesignana, all’HangarBicocca, fino alla vecchia distilleria tirata a lustro da Rem Koolhaas che oggi ospita Fondazione Prada, alle OGR di Torino, al vecchio MACRO al Testaccio di Roma, ecco che anche Firenze tira fuori la sua Manifattura Tabacchi.
Al 33 di via delle Cascine, infatti, sta rinascendo a tutti gli effetti un’area di 100mila metri quadrati grazie al fondo di investimento Aermont, gruppo europeo per lo sviluppo il cui capitale ammonta a 4.1 miliardi di euro e che ha diversi progetti di riqualificazione sparsi per l’Europa.
Qui, a ottobre, negli spazi progettati negli anni ’30 del Novecento da Pier Luigi Nervi arriveranno, per iniziare, mille studenti del Polimoda, scuola di stile, e laboratori per giovani creativi internazionali che hanno scelto Firenze come base, spazi espositivi, una birreria e diversi altri attori, per una nuova piazza pubblica in un’area di cerniera tra il centro cittadino e la piana. 
Dal 21 giugno prossimo i primi abitati saranno nove makers in una stecca che è già nominata “Fabbrica dell’Aria”, grazie agli interni progettati da Stefano Mancuso, secondo il principio della purificazione ambientale con l’utilizzo di vegetali, e tra gli inquilini vi sarà anche la casa musicale Mosconi Records.
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If i could unless we BERNHARD WILLHELM PH Niccolò Vonci Margherita Villani
Racconta Michelangelo Giombini, Head of Product Development Manifattura Tabacchi, «È importante realizzare questo progetto proprio perché Firenze non si è mai sviluppata nell’ambito del contemporaneo, nonostante la grande ricchezza di un tessuto che ne avrebbe permesso la vita. Crediamo che Manifattura Tabacchi potrà diventare un progetto che farà scuola».
E tra le “cose” che potrebbero germogliare da queste parti, oltre appunto a una sorta di “polo creativo”, c’è anche quel tanto agognato museo di arte contemporanea di cui a Firenze, come del resto in diverse città d’Italia tra cui Milano, si è fatto negli anni un gran parlare senza mai arrivare a una conclusione.
Vedremo se stavolta sarà quella buona. 
Per ora, per esempio, all’ingresso di Manifattura Tabacchi potrete scoprire lo spazio TOAST, una delle più piccole gallerie italiane (ricavata in una vecchia guardiola) ideata da Stefano Giuri durante una residenza lo scorso anno e che si propone, per il futuro, di realizzare un piccolo solo-show bimestrale, con un progetto interamente prodotto per l’occasione. 
Un po’, idealmente, un’iniziativa per resuscitare anche le ceneri di un altro spazio fiorentino che non esiste più: EX3. 
Insomma, da queste parti sembra che si voglia “ricostruire futuro” e lo si fa anche in relazione a una delle kermesse che hanno reso ancor più famosa nel mondo la città del Rinascimento: Pitti Immagine
Fino a venerdì, infatti (ed è un vero peccato che i giorni siano così pochi) è visibile negli spazi disabitati di Manifattura “If I could, Unless we”, a cura di Linda Loppa, da anni l’anima trainante di Polimoda, appunto. 
Una mostra per raccontare la moda senza nominarla; una mostra sensoriale, intima e allo stesso tempo forte, fatta di luci e suoni, ma anche di pittura e parole, da visitare in notturna, per perdersi in suggestioni e pulsazioni.
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If i could unless we LARA TORRES PH Niccolò Vonci Margherita Villani
Spiega Loppa: «È una mostra che vuole essere una pagina bianca, un modo per dire – anche in relazione alla città di Firenze e a Pitti Immagine – che “ci siamo”, semplicemente attraverso un percorso emotivo». 
E infatti non troverete nessun abito e nessun manichino, ma un invito a lasciarsi andare, a guardare oltre il comune nesso tra moda e arte, vedendo nelle due discipline un vero dialogo fatto anche di solitudine (il lavoro dell’artista e dello studio) e della necessità per la creazione di quelle che vengono definite le “industrie creative” (che vivranno alla Manifattura). 
Perdersi è semplice: si inizia dal basement dove Lara Torres riflette sul consumo della moda attraverso una serie di video.
Indossando vestiti idrosolubili che vengono cancellati sui corpi dall’azione dell’acqua, in vasche da bagno, sotto la pioggia, o in cavità naturali, Torres ci parla della natura effimera del fashion business, metafora dei processi della  moda contemporanea e della necessità di uno sguardo realmente sostenibile attraverso la delicatezza di queste performance uniche, registrate in presa diretta e riproposte seguendo un display espositivo dove le proiezioni sono a muro e a pavimento, in un dolce bianco e nero. 
Moses Hamborg, giovanissimo artista californiano (classe 1995) arrivato a Firenze per studiare le tecniche pittoriche dei Maestri Classici del ritratto, compie una performance giornaliera in cui esegue il dipinto di un modello (un ragazzo di colore in abiti quasi fiamminghi, il cui volto incantato ricorda La ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer) attraversando continuamente una passerella, spostandosi e avvicinandosi al dipinto, dipingendo e osservando, mettendo in relazione “lo sguardo” che hanno in comune il pittore e il fotografo, nella stessa volontà di instaurare un dialogo col corpo che hanno di fronte, facendo scomparire il mondo intorno. 
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If i could unless we MOSES HAMBORG PH Niccolò Vonci Margherita Villani
Infine, tra gli altri protagonisti di questa poetica e brevissima esposizione, il potentissimo lavoro di Senjan Jansen, compositore e sound designer che per Manifattura Tabacchi ha creato una installazione di luce e suono senza titolo che metaforizza l’attesa e i momenti di una sfilata di moda attraverso un ritmo sempre più sincopato di luci stroboscopiche che, arrivate all’apice dei flash e dell’attesa, dopo aver catturato l’anima dello spettatore, calano un ipotetico sipario. Tornando al buio dei backstage, della produzione e della competizione?
Questo, fortunatamente, non lo vediamo. Per ora, alla Manifattura, c’è solo poesia. E un grande sogno.
Matteo Bergamini

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