20 settembre 2014

Lo stato ha bisogno dell’arte?

 
Oggi, con un convegno alla GNAM di Roma, si cerca di fare il punto su alcune delle domande più spinose di oggi: davvero l'Italia ha bisogno di cultura per uscire dalla crisi? E perché si pensa sempre all'arte su un piano economico? Come cambiare le carte? Iniziando a rifiutare questo piano del discorso. Come ci spiegano due degli organizzatori, Stefano Velotti e Alfredo Pirri

di

Luciano Fabro, Italia all'asta - Piazza Plebiscito, Napoli 2004

La politica – quella che governa – ogni tanto si ricorda dell’arte, che è stata, permanendo, la sua lingua fondamentale. La pratica, privata e collettiva, che ha generato lo Stato (quello attuale, ipotetico o futuro). Un’idea di Stato non da intendersi brutalmente come somma delle istituzioni politiche più i cittadini che ne abitano i confini geografici, ma azione dinamica che prende forma grazie all’interrogazione permanente che l’arte in primis ha saputo mettere in opera, affidandosi il compito di rendere plasticamente visibile il concetto, altrimenti astratto di Democrazia. Ultimamente questo rapporto oscilla tra due poli, entrambi schiacciati sull’immagine del solo profitto economico: “con la cultura non si mangia”, da un lato, “la cultura è il petrolio italiano”, dall’altro.
Una discussione seria sul rapporto tra lo Stato e quel che chiamiamo ‘arte contemporanea’ (che della cultura è solo un aspetto ma imprescindibile ed esemplare) deve partire dal rifiuto di questo piano del discorso. Un piano che ignora del tutto il ruolo fondativo che l’arte ha nella nostra civiltà, sia a proposito del linguaggio comune, sia alla simbolizzazione della libertà personale. Oggi, infatti, si è diffusa nel senso comune la sensazione che occorra quasi scusarsi se si parla di arte e cultura, salvo che non si aggiunga subito che “la ‘cosa’ avrà una ricaduta economica”, come se solo con questa clausola si saprebbe di cosa si starebbe parlando. Al contrario, il profitto (inteso sia in senso economico, sia politico) è estraneo alla sfera dell’arte e della cultura – proprio com’è e deve essere estraneo a quello dell’amministrazione della giustizia o della tutela della salute -, né è necessariamente il fine ultimo delle esistenze individuali di ciascuno, di una nazione o di una comunità, europea o di altro genere. L’arte opera, al contrario, in equilibrio sempre dinamico e provvisorio sul crinale fra rappresentazione e critica dell’esistente. Non è questo medesimo equilibrio, in fondo, a essere servito da modello alla cosiddetta “rappresentanza politica”? Trattare l’arte in una prospettiva di ritorno (o non-ritorno) economico, non è forse rimuovere la questione centrale della rappresentanza, negando al tempo stesso l’elemento perturbante e scompaginatore della realtà che è proprio dell’arte?
Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, 1901

Bisogna avere il coraggio di passare per ingenui o arroganti, di fronte ai sorrisi di sufficienza o alle pacche istituzionali sulle spalle di chi crede di saperla lunga e di essere ‘realista’, ma che invece non sa semplicemente di cosa parla. Certo: il pane per tutti! Ma neppure il riconoscimento di questo primato del pane sarà possibile in una società che accetta come dato di senso comune il primato totalizzante del mercato, la colonizzazione economica di tutte le sfere della vita, e la riduzione della sfera artistica e culturale a intrattenimento di lusso, o a ‘evento’ per le masse, o ad attrazione turistica, o a ‘risorsa da valorizzare’.
 Se l’istituzione principale (lo Stato) permane in questa logica, si allontana pericolosamente dal patto popolare su cui esso stesso si fonda: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” (art. 9 della Costituzione Italiana.) Di conseguenza, gli uomini e le donne che primariamente rappresentano lo Stato, ponendosi fuori da questo patto, fanno sì che ogni vincolo di rappresentanza rischi di sciogliersi come neve al sole e insieme alla rappresentanza si sciolga anche ogni dibattito o pratica culturale e sociale finalizzata ad analizzare la crisi della democrazia e della sua probabile fine imminente. Vincolare l’attività artistica al profitto sarebbe come vincolarvi l’amministrazione della giustizia: in entrambi i casi è evidente che si produrrebbe solo corruzione il rapporto tra lo Stato e l’arte non può essere un rapporto fondato sulla corruzione (delle persone e del linguaggio).
Se le cose stanno così, questo convegno sarà l’occasione di far valere la nostra sovranità di cittadini (art. 1 della Costituzione) e di esigere dalle istituzioni che non generino e non sostengano la corruzione.
MACRO, Roma

Nel convegno si potranno affrontare dunque questioni di principio, che sgombrino il campo dai luoghi comuni più triti e degradanti, entrati ormai nel senso comune e anche questioni concrete, come la situazione dei Musei d’arte contemporanea, la loro gestione e il loro ruolo, ricordandoci sempre che l’arte e la cultura non nascono a comando (e se nascono così, nascono molto male), ma necessitano però di condizioni che ne rendano possibile lo sviluppo: luoghi d’incontro, luoghi pubblici o aperti a tutti in cui sia possibile ritrovarsi, discutere, darsi tempo. 
Parlare del rapporto tra Stato e Arte significa allora parlare anche della riappropriazione delle nostre piazze, dei luoghi e degli edifici in cui ritrovarsi, sedersi, passeggiare, conversare, progettare. Le nostre piazze sono diventate invece infrequentabili, mangiatoie per turisti 24 ore su 24. Questi luoghi sono parte della nostra eredità culturale, delle nostre forme di vita e della nostra prassi, e devono essere riqualificate e rii-modellizzate. Vogliamo degli spazi in cui sia possibile imparare dai nostri migliori artisti, curatori, critici, filosofi, storici, scrittori, registi, almeno da quelli che vorranno mettersi in gioco, uscendo ogni tanto dall’asfittico “sistemino dell’arte”.
Ogni proposta che ambisca a costruire o ricostruire un tessuto culturale e artistico ormai consunto e calpestato, è benvenuta. Tali proposte possono situarsi a livelli diversi: politico, amministrativo, urbanistico, edilizio, etc. Possono riguardare una molteplicità di casi o un caso singolo, un sistema o un suo elemento. Abbiamo il diritto e il dovere di ridare ossigeno, piacere di vivere e ricchezza immateriale alla nostra città, a noi stessi e a tutti quelli che lo vorranno, e di mettere in croce chi ha accettato ruoli istituzionali per ricostruire e custodire questo prezioso tessuto.

Alfredo Pirri e Stefano Velotti
Vladimir Tatlin, Monumento alla Terza Internazionale, 1919

L’arte di un popolo è incarnata dalla somma dei suoi manufatti artistico-storici, dai luoghi rappresentativi della sua identità politico-estetica, dalle prospettive che essa apre per il cambiamento civile della popolazione, dal ruolo che gioca la qualità delle persone.
Una mutazione che è alla nostra portata, che dipende da noi, dai nostri sentimenti verso di essa e verso noi stessi. Una mutazione che non scarti nulla del paesaggio esistente ma aiuti invece a fare emergere quanto di bello ci sia in ogni cosa, quanto di umano e quanta narrazione abiti il paesaggio stesso. 

Alfredo Pirri, artista

2 Commenti

  1. Buonasera Sig. Pirri,

    ho letto le sue concitate belle parole e Le faccio i complimenti per il suo spirito propositivo, anche se non mi è ben chiara la soluzione da Lei proposta in merito al disastro culturale di cui parla nel suo articolo. Lei dice che tali iniziative, di qualsiasi genere, siano le benvenute.. Ma dove? Chi le sostiene, forse Lei? E chi le finanzia? E smettiamola tutti quanti di lamentarci per il gusto di farlo, lo trovo anticulturale. Agire non significa scrivere un articolo più o meno condiviso, significa effettivamente assumersi delle responsabilità, uscire allo scoperto, mettersi in gioco, lavorare senza essere pagati. Quali sono le Sue responsabilità? Cosa fa Lei per noi? Ho io una idea, una idea interessante, perché non viene a trovarci in Atelier Montez per vedere con i suoi occhi cosa significa oggi “cultura”?! Sarei felice di fare due chiacchiere con Lei davanti ad una bella tazza di Diesel. grazie e a presto

  2. I soliti convegni chiaccherologici di italiota memoria che non producono altro che aria secca. La verità è che oggi discutere di cultura di arte si finisce sempre in un vicolo cieco. Perchè sono sbagliati i postulati di partenza. La cultura non è un entità statica che va in crisi,o che va misurata solo con il metro dei soldi, ma qualcosa di dinamico che vive di vita propria…, semmai è la società che è in crisi. Per questo la “crisi” della cultura, in verità non può essere discussa, se non facendosi prima una proficua autocritica. Visto gli errori commessi proprio da coloro che sono parte in causa.Il loro fallimento e sotto gli occhi di tutti e sarebbe cosa saggia prendere la decisione di mettersi da parte per non creare ulteriori danni alla collettività e all’immagine di questa povera Italietta.

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