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“L’artista è presente, ma il denaro è andato”. Apre così il New York Post un nuovo capitolo sulla vicenda dell’Istituto per le Arti che avrebbe dovuto aprire Marina Abramovic che, tra una campagna kickstarter e parecchie donazioni, da quattro anni a questa parte aveva tirato su qualcosa come 2,2 milioni di dollari.
Mrs. Marina Abramovic, attualmente in fase di promozione dei macaron al gusto di se stessa, aveva dichiarato che il suo Institute avrebbe “cambiato l’economia locale” a Hudson, nello stato di New York, allo stesso modo in cui il Sundance Film Festival ha trasformato Park City, Utah, e il Museo Guggenheim ha cambiato la città spagnola di Bilbao.
Lo spazio dove sarebbe dovuto nascere il centro per le arti è un vecchio teatro, che l’artista serba aveva affidato a Rem Koolhaas per i restauri. Peccato che, lo scorso mese, l’artista abbia annunciato di voler abbandonare l’impresa. La colpa? Sarebbe dello studio OMA di Koolhaas, troppo costoso, e dei 31 milioni di dollari richiesti per la rimessa in opera del vecchio stabile.
L’annuncio arrivato dalla Abramovic però, non solo aveva messo in allarme i residenti del paesino, già convinto che il Marina Abramovic Art Institute avrebbe portato loro nuova ricchezza, ma anche i donatori di Kickstarter che – nonostante la cifra raggiunta e di gran lunga superata – non hanno mai ricevuto i premi promessi.
Per forza, tutte le sovvenzioni sono finite nelle casse di OMA “per lo studio di fattibilità”, ha detto una portavoce dello studio d’architettura forse più celebre al mondo.
E ora? La risposta è arrivata dalla stessa Marina, che ha dichiarato: “Io, anche se sono un’artista di successo, non riuscirei mai a raccogliere 31 milioni di dollari, a meno che un ragazzo degli Emirati o qualche russo sottoscriva un assegno perché crede in me. Nella vita reale questo però non accade”.
I “buchi nell’acqua” invece, in realtà, si sentono eccome.
Fonte: New York Post